Il realismo a cui la frequentazione di Cristo e della Chiesa ci ha abituati, impone di riconoscere come il cammino verso l’integrità, o la maturità, o la compiutezza, o l‘equilibrio, dell’uomo sia un percorso fatto di tappe e momenti successivi, non necessariamente in ordine crescente e, comunque, dipendente dalle fondamentali facoltà dell’uomo quali l’intelligenza, la volontà e la libertà e, nondimeno, dalle differenti circostanze socioculturali in cui la persona si trova a vivere.
L’integrità è dunque sempre una conquista e un cammino da ri-iniziare ogni giorno, facendo leva sul meglio di se stessi e guardando a chi, in questo cammino, ha compiuto passi che possono essere ripercorsi con profitto.
Tale consapevolezza non ci lascia sgomenti di fronte alla frequente esperienza dell’umano dissesto, esperienza che, non di rado, si presenta in tutta la sua drammaticità e che non trova facilmente spazi di ascolto, confronto e comprensione in un ambito socioculturale fondato prevalentemente su un’idea astratta di uomo, che censura l’uomo reale, magari imperfetto e limitato, ma reale. Lo sguardo intelligente delle molteplici testimonianze di disperazione ci fa arguire, con sempre maggior fondatezza, che esse derivano da una errata e parziale concezione del proprio io. L’abitudine a concepire le varie sfere della persona come “sezioni diverse” a cui dare differenti risposte ha dato, come risultato, un essere umano che non riesce a comprendersi se non come “essere che risponde a determinati automatismi”, che trova la propria realizzazione colmando i propri vuoti, ovverosia rispondendo in modo meccanico ai diversi impulsi di cui è preda.
Questo modo di agire, che è divenuto moda comune cui è fatto obbligo adeguarsi, può risultare soddisfacente per l’uomo che non si sofferma a guardarsi intorno, a considerare con tutta la capacità di approfondimento che la ragione gli offre, la realtà che lo circonda.
Per l’uomo ragionevole, cioè per colui che usa la ragione fino in fondo senza pregiudizi, un simile modo di vivere non può che risultare triste, inappagante e irrispettoso della propria dignità. La felicità come esperienza della persona nella sua totalità è soltanto il risultato di una vita che, in ogni momento, tiene conto di tutte le esigenze che l’uomo ha e che sono uguali per ciascuno di noi. Riuscire a comprendere l’io integralmente è la conseguenza di un lavoro su di sè, di un’educazione, ed è un dono che rende più capaci di accogliere l’altro, essere umano come noi.
Tutti questi elementi sono mirabilmente assunti e rielaborati dal cristiano battezzato che, fedele alle promesse battesimali, è impegnato all’imitazione di Colui nel nome del quale è stato battezzato. L’imitazione di Cristo povero, casto e obbediente non è riservata unicamente a chi è consacrato in una determinata forma di vita, ma ogni battezzato, consacrato e rigenerato dall’acqua e dallo Spirito, è chiamato ad una vita casta che lasci trasparire l’unicità del proprio rapporto col Mistero, cifra autentica della propria e dell’altrui umanità.
La virtù della castità è intimamente legata a quella della temperanza che mira a far condurre dalla ragione le passioni e gli appetiti della sensibilità umana. (Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2341). Il cristiano avrà cura di trovare tutti i mezzi necessari per giungere alla pratica della virtù della castità e in particolare: la conoscenza di sè, l’obbedienza ai comandamenti divini, l’esercizio delle virtù morali e la fedeltà alla preghiera come luogo primario di custodia del proprio io.
Nel rapporto con Dio il cristiano rimane stabilmente ancorato alla certezza che la castità rimane un dono di grazia (Cf. CCC n. 2345), frutto dello Spirito Santo: è lo Spirito Santo che dona di imitare la purezza di Cristo Signore e Maestro: esiste dunque uno spazio tra la volontà del singolo fedele e la realizzazione di essa: è lo spazio dell’azione divina che ciascuno di noi è chiamato a riconoscere con semplicità di cuore.