Quando la menzogna regna sovrana, la contraddizione trionfa: il “menzognero” ed il “dia-ballo” (diavolo) sono la stessa non-persona!
Se nemmeno il principio di non contraddizione resiste alla dissoluzione della ragione, allora la strada è aperta a qualunque forma di violenza e di dittatura, della presunta maggioranza.
Un nuovo falso mito di progresso si affaccia all’orizzonte ed un nuovo valore non negoziabile è necessario individuare e difendere.
La cosiddetta democrazia diretta del Movimento cinque stelle (M5S), della piattaforma Rousseau e della Casaleggio & C. è il falso mito si progresso che vorrebbe eliminare gli organi intermedi (non solo i partiti, ma ogni forma di partecipazione sociale) per proporre il famoso “uno vale uno”, nel quale non c’è posto per le differenze, per i percorsi sociali, per la memoria condivisa, per la storia maestra. Soprattutto non c’è posto per “il noi”, non c’è posto per la società né per la comunità, elemento irrinunciabile della storia cristiana italiana. In una parola, non c’è posto per il popolo.
La campagna elettorale, estremamente contraddittoria, è stata l’eco della menzogna che soggiace all’ideologia individualista del M5S e lo stesso criterio di voto, dettato dalla “fame per il reddito di cittadinanza” ha mostrato l’urgenza di certe domande, l’inadeguatezza dei salotti buoni della politica, a destra come (soprattutto) a sinistra, ed infine la deriva individualista della mentalità dominante, nella quale l’interesse immediato prevale su ogni orizzonte progettuale o valoriale.
La fame fa brutti scherzi e la menzogna ne approfitta. Ma sarà davvero solo fame? Il 33% (in crescita) degli italiani è alla fame?
Forse c’è qualcosa d’altro, forse, perfino nel sud del Paese, notoriamente più legato alla famiglia ed ai cosiddetti “valori tradizionali”, nel sud dove la fede dovrebbe avere ancora una dimensione popolare, si è giunti a quella separazione tra fede e vita, tra fede e cultura, che da oltre trent’anni viene denunciata, prima da San Giovanni Paolo II poi da Benedetto XVI e che vede nel continuo richiamo di Papa Francesco a vigilare sulla “mondanità spirituale”, la sua conferma.
L’ “uno vale uno” (minuscolo!) della finta democrazia diretta è un mito di progresso incompatibile con la tradizione comunitaria della fede cristiana, inconciliabile con la storia del nostro Paese e con lo stesso principio di libertà e di sussidiarietà, che anima il tessuto sociale e culturale italiano.
Il mito della democrazia diretta ha funzionato nell’antica Grecia, con pochi e colti filosofi che ragionavano del vero e del bene: era una oligarchia intellettuale e patrizia che tentava di occuparsi del destino comune. Non può funzionare con la massa informatica incontrollata dei pareri, che confluiscono in sistemi di cui uno solo ha il controllo e dei quali non è possibile verificare l’attendibilità. Non apro nemmeno il file sulla questione culturale che attanaglia il M5S: sembra che titoli accademici, percorsi di ricerca, esperienze professionali o anni di amministrazione locale, non abbiano alcun valore. In questo senso, uno non vale, né può valere, uno!
La devastante conseguenza del tentativo di eliminazione dei corpi intermedi è un radicale statalismo, dal quale l’uno non può che restare schiacciato, mentre ogni espressione comunitaria della società permette di resistere al controllo dello stato ed alla dittatura della maggioranza.
È evidente come la mediazione dell’appartenenza religiosa, che non può considerarsi corpo intermedio, poiché si colloca “di fronte” allo stato e non “in” esso, sia la vera garanzia per la comune libertà: la preservazione della “Libertas Ecclesiae” è sempre anche una difesa della libertà di tutti.
In questo nebuloso e cupo contesto a-valoriale, emerge con urgenza, quello che potremmo definire un “nuovo principio non negoziabile”: l’obiezione di coscienza. Esso è chiaramente incluso nell’indisponibilità della vita, nella difesa della famiglia e nella libertà di educazione, tuttavia è forse giunto in momento di esplicitarlo: l’obiezione di coscienza non può essere né limitata né tanto meno cancellata, se non a prezzo di una società che si incammina pericolosamente verso forme inaccettabili di totalitarismo.
Uno dei più grandi esperti italiani in materia, il Prof. Giuseppe Dalla Torre, già Rettore della Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta), insigne giurista e magistrato nei tribunali vaticani, ha, da tempo, lanciato l’allarme sulla progressiva restrizione degli spazi di obiezione di coscienza nella cultura contemporanea (vedi: Il primato della coscienza. Laicità e libertà nell’esperienza giuridica contemporanea, Studium, Roma, 1992).
Tre recenti esperienze valgano per tutti come allarme, purtroppo non ascoltato; nella consapevolezza che l’irrilevanza sociale, mediatica e culturale della reazione, spingerà ad osare ancora oltre. E le tre esperienze sono in perfetta escalation!
Il primo esempio ci è stato dato dalla giunta regionale del Lazio, a presidenza PD, che ha stabilito, in un recente concorso pubblico, come condizione previa all’assunzione di medici, che non fossero obiettori di coscienza. È stato creato cosi un gravissimo precedente discriminatorio contro le persone che, sui temi sensibili, decidono di opporre la propria coscienza a leggi oggettivamente sbagliate e che, comunque, fedeli al giuramento di Ippocrate, ritengono che non sia compito dei medici sopprimere la vita innocente e debole, nel grembo della madre.
Così gli obiettori non devono essere assunti!
Il secondo esempio ci è giunto dal governo uscente, a maggioranza PD, e dalla legge sulla DAT (Disposizioni anticipate di trattamento) che non contiene la possibilità dell’obiezione di coscienza da parte del medico o del tutore, a fronte di eventuali disposizioni del dichiarante che vadano oggettivamente contro il bene o contro i convincimenti profondi dei possibili esecutori delle disposizioni stesse. Tenendo presente che la legge include idratazione e nutrizione tra gli atti medici sospendibili, diviene impossibile, per il medico o il tutore, opporsi a far morire di fame e di sete i pazienti.
Così l’obiezione di coscienza non deve esistere.
L’ultimo drammatico esempio ci è regalato dal M5S, il cui coordinamento ha affermato allegramente che “almeno il 70% dei medici devono essere non obiettori” per garantire esecuzione alle leggi dello Stato. Tenendo conto che oggi poco più del 10% dei medici è non-obiettore, forse sarebbe opportuno farsi una domanda e darsi una risposta. Non è forse che la coscienza dei medici ricusa ogni forma di violenza contro la vita? Non è forse che la classe medica è ben consapevole di aver studiato, e scelto quella nobile professione, per curare e per accompagnare, ma mai per sopprimere deliberatamente il bene indisponibile della vita? E la si finisca con la fiaba del “sono obiettori per fare carriera”, inventata dai radicali, mai dimostrata e ripetuta come un mantra, sperando che diventi vera. Il M5S propone la più violenta restrizione della libertà di coscienza, ed in particolare dell’esercizio della professione medica, mai udita nei dibattiti culturali e politici del nostro Paese.
Cosi l’obiezione di coscienza deve essere perseguitata!
Ecco che allora “uno vale uno” senza corpi intermedi e senza obiezione di coscienza, apre la porta alla più illiberale delle società: una società dove non trova posto la giusta libertà delle persone, non è una società cristiana né può essere una società umana. Nessun limite può essere opposto alla legittima obiezione di coscienza, eccetto il mantenimento dell’ordine pubblico.
Dobbiamo, come cristiani di questo straordinario Paese, rifiutare il falso mito di progresso della democrazia diretta indifferenziata e tornare a difendere l’obiezione di coscienza, con tutti coloro che condividono la centralità della libertà, per la vita dell’uomo e della società.
San Tommaso Moro docet.