Vai al contenuto
Home » Articoli » <strong>Appartenenza ecclesiale e carità</strong><em>.</em>

Appartenenza ecclesiale e carità.

  • di

Un sacerdote, un missionario, anzi un cristiano, è tale se opera nella consapevolezza di essere un ministro, un membro del corpo di Cristo che è la Chiesa. Cosa deve fare innanzitutto? Mettere in pratica l’incipit del vangelo di Marco: “Convertitevi e credete al vangelo”. Un prete che non converte, nel senso che non facilita con la sua parola e la sua testimonianza l’opera dello Spirito che converte il cuore dell’uomo al Signore, deve interrogarsi seriamente sulla propria vocazione. Dedicarsi alle situazioni sociali più diverse senza desiderare di condurre l’uomo a Dio, è come limitarsi a fare l’assistente sociale, ovvero un operatore dello Stato che, per sua natura, deve occuparsi della giustizia sociale e non della carità. 

    Invece, poiché tutti i cristiani sono chiamati a condividere globalmente i bisogni degli uomini “essi non devono ispirarsi alle ideologie del miglioramento del mondo, –  annota il Papa nell’enciclica Deus Caritas est –  ma farsi guidare dalla fede che nell’amore diventa operante (cfr Gal 5,6). Devono essere quindi persone mosse innanzitutto dall’amore di Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato col suo amore, risvegliandovi l’amore per il prossimo. Il criterio ispiratore del loro agire dovrebbe essere l’affermazione presente nellaSeconda Lettera ai Corinzi: « L’amore del Cristo ci spinge » (5, 14). (Deus Caritas est, n. 33). 

     Davvero è l’appartenenza alla Chiesa ciò che deve emergere nella promozione delle opere per “salvare” i ragazzi dalla droga, dalla prostituzione e da tutte le forme di emarginazione. Salveremo l’errante ma non dimenticheremo di stigmatizzare l’errore, il peccato, per non essere complici del male, come dice il profeta. In quest’opera di salvezza, i preti soprattutto ricorderanno di essere ministri, servi inutili, ed eviteranno ogni protagonismo televisivo e politico; preferiranno “diminuire perché Lui cresca”, perché si dilati il corpo della carità che è la Chiesa. Essi non si faranno etero-dirigere da quanti dicono: Cristo sì, Chiesa no; non cercheranno altre “liberazioni”, se non quella che viene dalla comunione con Cristo. 

L’errore di Babele fu di non aver ascoltato prima il Mistero. E’ questo il vero dramma, perché ne dipende la schiavitù o la salvezza: per essere salvezza per gli altri, bisogna essere dipendenti da Altro. Ecco la differenza tra Babele e la torre di Erma: la Chiesa è totalmente relativa a Cristo il quale “lo è” rispetto al Padre.

Von Balthasar divideva il mistero della realtà in due parti: le cose note di Dio che possono essere comprese e fatte proprie (Romani 1,19) e quelle ignote, per conoscere le quali non abbiamo alcun mezzo e che per conseguenza non ci riguardano per nulla. Quindi, con impressionante attualità, affermava: “Il movimento del pensiero moderno è perciò duplice: prima avvicinare Dio all’uomo, perché ciò che porta possa essere assimilato; poi allontanare Dio, in modo che le sue realtà ignote non riguardino più l’uomo. Entrambi i movimenti possono avvenire in chiave tanto cristiana quanto atea. Avvicinando Dio all’uomo si prende sul serio l’incarnazione; allontanando Dio, si dimostra il vero rispetto che non scambia Dio con gli idoli della ragione. Così in senso cristiano. Ed in senso ateo: si deve avvicinare Dio finché coincida con l’uomo, ed allontanarlo finché si dissolva in fumo” (Cordula, pp. 78-79). 

Purtroppo nella direzione indicata per ultima – sotto la formula della ‘svolta antropologica’ – hanno collaborato anche certa teologia e catechesi, sottile e scaltra nel metodo e nel linguaggio, al punto da lasciare incerti su un dato fondamentale per la fede: se Gesù Cristo sia una persona vivente e incontrabile oggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *