Il Ragionamento di U. Eco si svolge in questi punti:
-Assoluto (sciolto da legami) ha la propria ragione, causa e spiegazione in se stesso; all’opposto il resto è contingente cioè non ha la propria causa in se stesso.
– l’uomo, secondo U.Eco ha bisogno di pensare all’Assoluto, cioè ancorarsi a qualcosa che non perisce: la domanda allora è se è immanente o trascendente. La risposta non è univoca: se l’Assoluto è immanente l’uomo fa parte dell’Assoluto e quindi egli non può né definirlo né conoscerlo; se è trascendente, si può “pensare all’Assoluto come a qualcosa che noi non siamo e che sta altrove” (il Dio di Aristotele “che pensa se stesso pensante”). Si può nominarlo, anche se c’è differenza “tra poter concepire o meno qualcosa e poterlo tuttavia nominare attribuendogli un qualche significato”. Qui già il pensiero di Eco riduce il bisogno di Assoluto ad una codificazione di esso attraverso il pensiero o la definizione di esso.
– Nell’ambito della definizione per U. Eco l’espressione Assoluto “ha una definizione tutto sommato tautologica (è assoluto ciò che non è contingente ma è contingente ciò che non è assoluto)” e nell’ambito del pensiero viene citata la definizione data da Sant’Anselmo “id cujus nihil majus cogitari possit”che per quanto riguarda il Santo non si ferma al pensiero, ma (questa è la grandezza della filosofia medievale, resti tra noi!) è l’esperienza che il credente fa di Dio e da cui ne deriva successivamente l’espressione e quindi non nominalisticamente. Quindi anche la citazione di Dante nel Paradiso “quando vorrebbe dirci che cosa ha visto quando ha potuto fissare lo sguardo nella divinità (direi in Dio mia precisazione), ma non riesce a dirci altro se non che non riesce a dirlo” ricorrendo ad una metafora è interpretata come un’impossibilità a dire (che addirittura in U. Eco diviene, trasponendo il dire con il pensare, un dubbio: “si può credere in un Assoluto e affermare che è impensabile e indefinibile?”) non invece un’esperienza talmente grande dell’Infinito e dell’Assoluto da non poter essere tradotto con parole che giocoforza sono contingenti e non riescono a tradurla.
– Per il pensiero estetico, prosegue U. Eco, l’Assoluto può essere allora tradotto con la Bellezza.
– Ma punto saliente dello svolgersi del pensiero di Eco, l’Assoluto non può essere identificato con la Verità.
Se così fosse di qui nasce “la persuasione di molti uomini di fede che ritengono che quelle filosofie che negano la possibilità di conoscere l’Assoluto, neghino ogni criterio di verità o, negando che ci sta un criterio di assoluto di verità, neghino la possibilità di avere esperienza dell’Assoluto.”
Da qui l’affermazione che “la fiducia che ci sia qualcosa di vero è fondamentale per la sopravvivenza degli esseri umani”.
Da questa grande affermazione che negando un vero Assoluto se ne postulano via via quei veri più che relativi “ridotti”( dico io) per poter sopravvivere, si passa alla verificabilità di alcuni enunciati anche religiosi che così posti sembrano dei quiz a cui rispondere, ma che ci introducono benissimo nel pensiero di U. Eco: “Si tratta dunque di decidere come contrattare volta per volta i criteri di verità che stiamo usando”, concludendo che “alla luce di alcune polemiche recenti sembra che questa distinzione tra diversi criteri di verità, tipica del pensiero moderno e in particolare di quello logico-scientifico, dia luogo a un relativismo inteso come malattia storica della cultura contemporanea, che nega ogni idea di verità”.
Dopo tutta l’esposizione si evince che per U. Eco non esiste l’Assoluto(per altro concetto e non esperienza come nel Cristianesimo)-Verità, ma criteri contingenti di verità che permettono l’avanzare pragmatico dell’uomo, ma non il muoversi secondo un fine, secondo una prospettiva.
Si può parlare di Assoluto, di Verità come ha parlato U. Eco solo riferendosi al pensiero in generale, ma non al Cristianesimo, dove questi “nomi”, queste “definizioni del pensiero” sono diventate esperienze di uomini con l’incarnazione di Gesù. L’esperienza di questo è nelle mani del Signore, ma comprenderne la differenza dal punto di vista del pensiero è possibilità di ogni uomo culturalmente corretto, che non riduce l’esperienza di uomini e di santi a “nomi” e “codificazioni”.
P.S. non volevo essere polemica, ma volevo indicare. Vedi tu come fare, io non ci sono riuscita.
U. Eco inizia la seconda parte riprendendo e separando il concetto di Assoluto dai “vari modi di intendere la verità; questa distinzione tra diversi criteri di verità, tipica del pensiero logico-scientifico, sembra dia luogo a un relativismo inteso come malattia storica della cultura contemporanea.
– Per U. Eco si intende per relativismo:
-a) relativismo conoscitivo: gli oggetti possono essere conosciuti solo sotto condizioni determinate dalle facoltà umane.
b) errata la definizione per cui il relativismo “non ammette principi assoluti nel campo del conoscere e dell’agire”. Nel relativismo si sostiene infatti “l’inconoscibilità dell’Assoluto, ma non si sostiene che non siano raggiungibili “verità scientifiche oggettivamente testabili e valide per tutti.
c) olismo: “ogni enunciato è vero o falso (e acquista un significato) solo all’interno di un sistema organico di assunzioni”,”all’interno di un dato paradigma scientifico”. Quindi secondo U. Eco anche l’olista “si confronta con qualcosa di cui bisogna rendere ragione”; lo definisce “realismo minimo, per il quale ci deve essere un modo per cui le cose stanno o vanno”. Qui viene affermato che “se non crediamo che ci sia (questo modo), la nostra ricerca non avrebbe senso e non avrebbe senso tentare sempre nuovi sistemi di spiegazione del mondo”.
Questa affermazione ammette esistenzialmente un criterio imprescindibile che “attraverso la continua correzione delle sue conoscenze la comunità umana porta avanti “la torcia della verità”. Non è possibile la conoscenza e di conseguenza l’agire se non si ammettono anche “parziali verità”.
d) La incommensurabilità dei sistemi non significa che essi non siano comparabili; ne scaturisce oliamo linguistico e relativismo culturale.
e) Critica di M. Pera al relativismo culturale: analisi accettabile, ma conclusione sulla superiorità di alcuni valori della cultura occidentale, inaccettabile per U.Eco. Bisogna individuare infatti le caratteristiche costanti tra i popoli (biologiche e comportamenti), non le diversità dovute alla cultura che in qualche modo sostengono il primato dello spirito sulla materia. ( E’ operare così una censura riguardo ad un prodotto umano qual è la cultura, che non è solamente propria dello spirito, ma è espressione dell’uomo che vive in un contesto, in un dato momento storico, in un luogo geografico).
f) Da qui si sostanzia la critica ai credenti: 1) il relativismo culturale non porta al relativismo morale. 2) il sostenere che vi siano diversi modi di verificare la verità di una proposizione metta in questione la possibilità di riconoscere una verità assoluta.
– Desidereremmo crederlo anche noi, ma i fatti ci dicono il contrario. L’impossibilità di educare, cioè di trasmettere valori universalmente validi ha portato i ragazzi ad eccessi in tutti i campi e gli adulti a vivere un’adolescenza procrastinata ad libitum.
La critica di U. Eco al cardinal Ratzinger e Giovanni Paolo II allora si sostanzia sull’opposizione di due nozioni di verità: “una come proprietà semantica degli enunciati e l’altra come proprietà della divinità”. Eco ricorda che le due nozioni sono presenti nelle sacre scritture: la verità come qualcosa che si dice ( “in verità in verità vi dico”) e la verità come proprietà intrinseca alla divinità (“Io sono la via, la verità e la vita”) e che oggi Ratzinger, alcune posizione dei padri della Chiesa che conseguono a queste affermazioni, le definirebbe relativiste e cita sant’Agostino nella disputa sulla terra sferica che il saperlo non serviva alla salvezza. Si noti la scorrettezza delle conclusioni facilmente individuabile nel riportare quel pensiero di Sant’Agostino, che in un momento particolare addita per i cristiani il soffermarsi più su ciò che dà salvezza (Cristo) e non sul pensiero scientifico della sfericità della terra che nella sua verificabilità, successivamente accertata, non apportava nulla alla felicità dell’uomo e alla sua consistenza. Non esiste differenza tra ciò che dice Gesù e la Verità che è Gesù; in questo i cristiani delle origini, i padri della Chiesa, Ratzinger (come lo chiama U.Eco nelle sue posizioni da cardinale) e Giovanni Paolo II hanno affermato la stessa cosa perché hanno fatto esperienza della stessa persona: Gesù, Dio incarnato, da cui la storia non può prescindere.
– Affermazione di un pensiero moderno: non vi sono fatti bensì solo interpretazioni. Antirelativisti moderati contro questo pensiero estremo, che nasce da Nietzsche. Eco confuta questo pensiero con le affermazioni di E. Lecaldano e con un certo pensiero moderno: sono punti importanti che negano un relativismo estremo, ma che portano ad una conclusione terribile dopo le quattro pagine di esposizione: “l’Assoluto non sarà né pensabile né attingibile, ma esistono delle forze naturali che assecondano o sfidano le nostre interpretazioni”. L’esempio del muro esistente contro una nostra interpretazione e che ci richiama sbattendoci contro alla realtà e la morte. U. Eco sostiene così che “la morte e quel muro sono l’unica forma di Assoluto di cui non possiamo dubitare”; ammette che è un criterio modesto, ma pur sempre un criterio. Apprezziamo il relativismo non estremo di U. Eco, che è ancorato alla realtà per vivere, ma è proponibile ai giovani e agli uomini di oggi il criterio della morte e non quello della vita? Non è più facile arrendersi all’evidenza della Verità incarnata che dà significato all’esistenza, la quale non chiede una verificabilità nominale di enunciato ma di arrendersi all’evidenza di un’esperienza che nella Chiesa è possibile. Si può chiedere a U. Eco di lasciarsi afferrare da un’altra logica, di aprirsi alla possibilità di un’altra lettura della realtà che parta non dal pensiero o dalla definizione di esso, ma da quella realtà stessa in cui la morte ed il muro incontrato costituiscono una parte.