L’apertura del processo a Luca Coscioni, che ha accompagnato in svizzera djFabo, per il “suicidio assistito”, è stata “occasione ghiotta” per i media nazionali, per gettare la maschera. Tutti in coro: Tg1, Tg2 e Tg3, ad amplificare l’affermazione (chissà quanto gratuita?) della mamma del dj: “Speriamo che questa sia la causa definitiva per questo BioTestamento” [Sic!].
Continuano a ripeterci che la legge sulle DAT (Dichiarazioni – poi divenute Disposizioni – anticipate di Trattamento) non c’entrerebbe nulla con l’Eutanasia. Eppure continuano a presentarci “casi” che, per quanto drammatici e difficili, non sono definibili come “terminali”. Terminale è, infatti, una condizione dall’esito infausto imminente, non una condizione difficile, che si possa prolungare nel tempo. […]
Due riflessioni, la prima socio-culturale, la seconda più storico-teologica.
Vogliamo, noi Italiani, una società che favorisca l’eliminazione dei più deboli? Vogliamo uno Stato che istighi al suicidio e che si faccia “garante” della scelta di chi “vuole farla finita”? Vogliamo dare questo potere al “fantasma” dello Stato? Vogliamo che le nostre tasse siano utilizzate per portare la morte, all’inizio o alla fine della vita? Perché il grande tema dell’utilizzo della tasse, è ancora tutto da aprire e, se rischioso per il patto sociale, rimano il solo vero modo per esercitare un’obiezione di coscienza consapevole ed efficace. La legge sulle DAT è la denuncia dell’insufficienza e della contraddittorietà di una cultura che, mentre esalta in modo sconsiderato il corpo e la “forma fisica”, è disposta all’eliminazione di quei corpi che non rispondono (o non rispondono più) a determinate caratteristiche di efficienza. Corpi… ma siamo certi che l’uomo sia solo il suo corpo? Che siamo solo una “fortunata combinazione” di atomi, che siamo l’esito dei nostri antecedenti biologici? Perché una tale convinzione, portata alle sue coerenti estreme conseguenze, farebbe del tutto evaporare uno dei significati fondamentali della coscienza contemporanea: la libertà. Se l’uomo è solo l’esito dei propri antecedenti biologico, non è libero, è vittima di un necessario meccanicismo, che trova in certo biologismo e nel recente sviluppo delle neuroscienze, una nuova pretesa totalizzante. Queste premesse portano, come afferma il filosofo francese Remì Brague, alla tentazione di “farla finita con l’uomo”.
Dal punto di vista storico-teologico, solo il cristianesimo è stato capace di consegnare all’umanità un senso possibile della sofferenza. Infatti, non solo Dio si è fatto uomo, condividendo la nostra esperienza di limite nel tempo e nello spazio, ma ha deciso liberamente e per amore, di salvarci attraverso la Croce, attraverso la sofferenza, il dolore e la morte. Solo Cristo dà, così, significato al dolore dell’uomo. Senza Gesù di Nazareth, l’uomo rimane solo, tremendamente solo con il proprio dolore. La morte è invocata non in se stessa, perché è – e rimane – sempre un male. Solo i satanisti invocano la morte come un bene in se stesso! La morte è invocata piuttosto come liberazione da un dolore del quale non si intravvede il senso, che pare assurdo, perché ingiustificato, perché ingiustificabile dal falso mito di progresso di una esistenza terrena sempre felice, efficiente ed in salute.
Forse, allora, dovremmo innanzitutto riconoscere che la legge sulle DAT è “perfettamente coerente” non la cultura della morte, della quale molti (troppi) sono consapevoli araldi o inconsapevoli (ed utili e pavidi) sostenitori. Nel contempo, dobbiamo, con parresia evangelica e virile coraggio, ribadire e denunciare, che il nostro popolo non vuole questa legge, perché è un popolo che ama la vita, più di quanto chiunque altro ami la morte; è un popolo che domanda allo Stato di essere aiutato a vivere, anche nelle circostanze più difficili! Non di essere aiutato a morire.
Anche in questo caso emerge, con irresistibile forza, quanto da sempre è accaduto nel cristianesimo, come identità e come compito: conservare la retta fede e costruire la Chiesa, per generare una cultura cristiana e costruire la “città degli uomini”.