Si assiste ad interventi sui media stampati o televisivi di eminenti ecclesiastici che trattano di condom e di centri per gli immigrati; di politici che propongono semestri obbligatori di servizio civile, affinché i giovani imparino la solidarietà, o che si immischiano nel dialogo tra le religioni. Viene da osservare che i chierici fanno i politici e i politici fanno i chierici. Che confusione! Soprattutto però passa un messaggio: la Chiesa è divisa. L’essere unanimi nel parlare, come raccomanda Paolo, è indubbiamente la condizione per esprimere unità e comunione. Si immagini quanto ciò sia necessario per la collegialità, da cum-legare, essere in un legame, un vincolo. Ma il protagonismo – da protos, primo – è più forte: si afferma quasi un primato parallelo a quello petrino. Eppure ogni buon vescovo sa dal Concilio che solo cum Petro et sub Petro si può dire qualcosa che edifichi e non un’opinione tra le altre. Se il misurato Sergio Romano s’è dovuto scomodare per ricordare al cardinale Martino che un ecclesiastico non deve spingersi fin nel merito delle strutture di accoglienza degli immigrati (Editoriale, Corriere della Sera, 17 giugno 2006), vuol dire che forse senz’accorgercene si sta trascurando quanto dice Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est: “La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia”(28). Quella è di Cesare. Un vescovo e un sacerdote invece devono dire quello che è di Dio: devono avere lucidità e coraggio nell’indicare la necessità della conversione e della santità richieste da Cristo all’uomo; non gli compete di dialettizzare con abilità sottile e inevitabile conformismo in etica sui mali minori e in politica sulle strutture di convivenza. Essi devono educare i laici e lasciare fare ai laici, credenti o meno, ma che hanno a cuore la ragione di entrare nel merito delle leggi sulle staminali e delle politiche sull’immigrazione.
Immaginiamo per un attimo che la Santa Sede, dopo il Concilio, avesse seguito coloro che si rinchiudevano nei circoli specialistici continuamente scontenti della Chiesa: essi negavano la crisi del mondo, anzi la vedevano come totalmente buona; quindi postulavano l’inutilità della Chiesa. Per fortuna la Chiesa cattolica ha un antivirus al conformismo che si rende visibile, – lo ha riconosciuto Dante – nell’amore grande “al Pastor della Chiesa che la guida”. Gregorio Magno ne mostra consapevolezza quando sostiene che “Gli uomini santi…all’interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l’insegnamento illuminato, all’esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione” (Commento sul libro di Giobbe, 3,39; PL 75,619). E Benedetto XVI, al suo insediamento nella basilica lateranense ha confermato la necessità di vegliare sulla sana dottrina, perché“Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire” (7 maggio 2005).
E’ dunque evidente che il primato attiene alla natura della Chiesa: senza il primato del papa la Chiesa non sta in piedi. Perché il primato dell’uno garantisce l’unità di tutti. Il termine unità viene da uno, uno visibile, mentre la comunione sta a indicare la comunità intorno ad uno. Sembrano sinonimi, invece stanno ad indicare due realtà visibili che postulano l’invisibile essere “un cuor solo e un’anima sola”: cuore e anima dell’unico Gesù Cristo. Più si guarda a lui e più si comprende quanto sia da custodire, dice Crisostomo, il bene prezioso dell’unità. La Chiesa cattolica in tal modo costituisce l’alternativa al sistema, ad ogni sistema che si succede nella storia; anzi la Chiesa resiste al sistema e gli infligge il compito di perseguitarla, come dice Newman. La Chiesa come Cristo è inerme e come tale resta esposta al mondo, per la libertà di tutti, anche del Figliol prodigo o del dissipatore nietzscheano. Anche a costo del martirio.