A Torino, blitz dei gruppi femministi vicini ad Askatasuna contro l’evento pro vita
di don Salvatore Vitiello
Articolo originale su “La Verità“, 13 ottobre 2024

Sembra un film già visto. I collettivi femministi vicini al centro sociale Askatasuma che si dimenano per bloccare il libero esercizio del pensiero altrui, perché la libertà di espressione è sempre a senso unico, a condizione che la si pensi come loro. Ieri a Torino il Convegno di FederVita, organizzato con l’alto patrocinio della Regione Piemonte, dal titolo: «Per una vera tutela sociale della maternità», è stato di fatto impedito e ancora una voltala democrazia ha perso. La prima sensazione è quella di un esasperato conservatorismo da parte di chi si dice progressista, replicando però ossessivamente un cliché già visto e rivisto negli anni Settanta: urla, scritte sui muri, contestazione minacciosa, invocazione di morte, incapacità di confronto ragionevole e tutto un armamentario desueto, espressione di una ragione debole, espressione della ragione di chi non ha ragione. Un altro dato allarmante è l’attacco ad personam. Le scritte: «Adinolfi = aborto mancato» e «Marrone Torino ti abortisce», sotto ovviamente il più che classico: «Cloro sul clero», invece che «al clero» – forse la tradizione orale qui si è impigliata -, indicano il passaggio gravissimo dal confronto delle idee, legittimamente differenti, all’attacco alle persone, che di tali idee sono portatrici. Non si faccia l’errore di sottovalutare la questione: quando si passa dal confronto ideale allo scontro e all’odio personale, allora il livello cambia e, di nuovo, la democrazia perde.
Davvero paradossale la contraddizione di certa sinistra che si riduce a usare metodi fascisti per imporre la propria visione della realtà. Quanti cattivi maestri dietro queste posizioni, a ogni livello: nella scuola, nell’università, nei media e, talvolta, persino nella Chiesa! Ma lo scatenarsi costante di tanto odio nei confronti di chi difende la vita, lavora per la vita e vorrebbe semplicemente garantire la libertà di vivere far vivere a chi lo desidera, ha inevitabilmente una radice più profonda. È, in realtà, un odio alla vita stessa, malcelato dietro l’ideologica aggressione a chiunque osi anche solo criticare una legge, la 194/78, che non solo non è mai stata applicata integralmente, ma che si è trasformata in un vero «totem culturale». Dove mai è scritto che una legge umana non possa essere messa in discussione? Non è forse il prodotto di una determinata epoca e sensibilità? Dove sono finiti tutti gli storicisti, veri maestri in questa forma di lettura transitoria della realtà?Certamente nessuno può illudersi che le leggi eticamente sensibili, inclusa la 194, possano cambiare o essere modificate, se non cambia la cultura; e i convegni, anche a questo servono: a fare cultura. Non si tratta di questo o di un altro governo, si tratta di decenni di sensibilizzazione culturale al dono e mistero della vita, superando ogni precomprensione ideologica e obbedendo, finalmente, al dettato della scienza che, con le scoperte genetiche, dice inequivocabilmente dell’identità nuova e irriducibile dell’embrione umano. L’odio alla vita è, infine, un odio all’uomo ed è il segnale più inquietante di una cultura, quella occidentale, giunta al capolinea. Farla finita con l’uomo è la nuova frontiera del nichilismo radicale, denunciato dal filosofo metafisico francese Rémi Brague. Una posizione che, consapevolmente o no, sposa il progetto del peggiore satanismo, che odia la vita, perché odia l’uomo. Forse qualcuno ricorderà la frase di AlQaeda dopo gli attentati di Madrid: «Noi amiamo la morte, voi amate la vita». Ecco: noi amiamo la vita!